Banca colpevole per avere ‘consigliato’ al cliente di accettare un vaglia postale poi rivelatosi falso
A inchiodare l’istituto di credito è stata la condotta superficiale tenuta da una sua dipendente

Vaglia postale accettato, su ‘consiglio’ della banca, ma poi rivelatosi falso. Inevitabile la condanna dell’istituto credito a risarcire il cliente truffato. Ciò perché, precisano i giudici (ordinanza numero 25938 del 3 ottobre 2024 della Cassazione), si è appurato, nel caso concreto, che la banca, tramite il suo impiegato, si era assunta, su richiesta del proprio cliente, l’onere di svolgere la verifica del vaglia, ma aveva agito superficialmente, in contrasto con la diligenza richiesta dall’incarico assunto. In particolare, l’istituto di credito aveva mancato di trasmettere e richiedere una conferma scritta del cosiddetto ‘bene emissione’ nonostante la difficoltà riscontrata nel contattare il numero telefonico dell’ufficio postale e aveva omesso di verificare l’identità dell’interlocutore telefonico, sebbene contattato a un numero fornito da soggetto non conosciuto, e senza alcuna ulteriore verifica, e, infine, aveva omesso di informare il cliente dei rischi connessi ad un accredito fatto salvo buon fine. Per meglio inquadrare la questione, i giudici fissano un punto fermo: la banca che, su richiesta del cliente, accetta di effettuare la verifica di un titolo di pagamento instaura un rapporto contrattuale, e tale verifica deve essere effettuata secondo i criteri della diligenza professionale qualificata, comportando una responsabilità se il cliente, a causa di una superficialità nella condotta dell’istituto di credito, il cliente venga indotto a fare affidamento sulla bontà di un titolo poi rivelatosi falso. Inequivocabile, secondo i giudici, la dinamica dei fatti. In particolare, il cliente della banca si era ritrovato tra le mani un ‘vaglia postale’ come titolo di pagamento per l’acquisto di una vettura e la cassiera di turno dell’istituto di credito si era assunta l’onere di verificare il cosiddetto ‘bene emissione’ del vaglia, ma la dipendente della banca, dopo essersi messa in contatto telefonico con l’agenzia postale, al numero peraltro fornito dal soggetto che aveva emesso il vaglia, aveva comunicato di avere in effetti ricevuto conferma del ‘bene emissione’ del titolo in risposta alla telefonata fatta su quel numero, poi rivelatosi non corrispondente a quello dell’agenzia emittente, e quindi il destinatario del vaglia era stato indotto a dar corso alla vendita senza conseguire il prezzo, poiché successivamente è stata riscontrata la falsità del titolo di pagamento.