Il consulente di riferimento non è additabile come amministratore di fatto
Necessario provare il compimento, da parte del consulente, di atti gestori, così da dedurne la partecipazione, in particolare, all'assunzione delle scelte strategiche e rilevanti della società, con istruzioni ad hoc per gli amministratori di diritto

Difficile additare come amministratore di fatto della società il consulente che funge da punto di riferimento per i soci. Ciò perché, chiariscono i giudici (sentenza del 19 luglio 2024 del Tribunale di Venezia), l’amministratore di fatto è colui che, pur sprovvisto di apposita qualifica formale, pone in essere in modo continuativo e significativo atti che sono tipicamente inerenti a tale qualifica, partecipando in particolare all'assunzione delle scelte strategiche e rilevanti della società e impartendo istruzioni agli amministratori di diritto e condizionando le scelte aziendali. Necessario, quindi, mettere sul tavolo prove provate relativamente alla posizione di amministratore di fatto, prove che certifichino l’esistenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive nell'attività della società, con riferimento, ad esempio, ad i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti. Nel caso specifico, i soci hanno accusato il consulente di avere travalicato il proprio ruolo, assumendo tutte le decisioni strategiche, supervisionando tutte le operazioni commerciali e finanziarie, mantenendo i rapporti con il ceto bancario, convocando le assemblee e dirigendo le politiche di bilancio, e stabilendo le condizioni economiche dei contratti stipulati dalla società. E, nell’ottica di una possibile azione di responsabilità nei confronti del consulente per aver cagionato grossi danni, ossia aggravamento del dissesto delle società, ritardo nell’accesso a procedure di risanamento della crisi e tenuta non regolare della contabilità, i soci hanno chiesto venisse accertato che il consulente ha rivestito la carica di amministratore di fatto. Ma le parole della teste citata dai soci non sono sufficienti, secondo i giudici, poiché ella si è limitata a dichiarare che “i soci si affidavano al consulente e seguivano le sue istruzioni”, specificando che “si faceva quello che ci diceva di fare nella sua qualità di consulente commercialista”, e ha poi soggiunto che “era lui a gestire un po’ tutto” e ha precisato di ritenere che “fosse lui a convocare l’assemblea”. Tali dichiarazioni non sono sufficienti a qualificare il consulente come amministratore di fatto della società, poiché la teste si è limitata a riportare considerazioni generiche, che non consentono di ritenere provato il compimento da parte del consulente di atti gestori, tenuto conto che pacificamente egli era anche consulente contabile, fiscale e tributario della società, e, non a caso, la teste ha riferito che i soci seguivano le direttive impartite dal consulente nella sua qualità di dottore commercialista.