In un piccolo paese una ragazzina finisce in un dirupo: nessuna responsabilità del Comune

A causare l’incidente è stata, secondo i giudici, la condotta imprudente della ragazzina, la quale, peraltro, conosceva il luogo

In un piccolo paese una ragazzina finisce in un dirupo: nessuna responsabilità del Comune

Nessun risarcimento per la ragazzina che in un piccolo paese calabrese, a causa di una corsa sfrenata durante un gioco fatto vicino casa, finisce col cadere in un dirupo, posto ai margini di una

strada comunale, riportando lesioni serie. Impossibile, secondo i giudici (ordinanza numero 17945 del 2 luglio 2025 della Cassazione), ricostruito l’episodio, addebitare alcuna responsabilità al Comune, poiché a causare l’incidente è stata la condotta imprudente della ragazzina, che, peraltro, conosceva il luogo.
Il fattaccio, verificatosi in terra calabrese, risale a diversi anni fa, tanto che la vittima, all’epoca una ragazzina, è oggi maggiorenne. Tutto si svolge in pochi secondi: la ragazzina, che vicino casa sta giocando col fratello, si lancia, di corsa, all’inseguimento di un pallone, ma così facendo giunge in una zona pericolosa e accidentalmente si spinge oltre il margine della strada – comunale –, tanto da cadere nel sottostante dirupo.
Sotto accusa il Comune: in ballo una possibile responsabilità per l’incidente, a fronte della pericolosità del contesto in cui la ragazzina stava giocando col fratello.
Dopo una lunga querelle giudiziaria, però, a sorpresa, i giudici d’Appello respingono la richiesta avanzata dalla vittima della caduta, richiesta mirata ad ottenere dal Comune un adeguato ristoro economico.
Chiara la visione tracciata in secondo grado: la vittima dell’incidente non ha fornito la prova del nesso causale tra il fatto ascritto alla responsabilità del Comune e i danni da lei riportati, mentre è piuttosto emerso, sulla base degli elementi di prova acquisiti, come il fatto dannoso debba integralmente ascriversi alla colpa della persona danneggiata, per essersi ella resa responsabile di una condotta altamente imprudente e rischiosa, costituita dall’inseguire di corsa un pallone fino a una zona pericolosa, in pieno giorno e con piena visibilità dei luoghi, spingendosi oltre il margine della strada fino a cadere, per propria esclusiva colpa, nel dirupo posto ai margini della strada comunale.
A portare la questione in Cassazione provvede la parte lesa, ma le obiezioni sollevate dinanzi ai magistrati di terzo grado si rivelano assolutamente inutili.
Per quanto concerne i caratteri propri del luogo in cui si è svolto l’episodio e il connesso ruolo causale rivestito ai fini della produzione dei danni denunciati dalla vittima della caduta, viene richiamata la valutazione compiuta in Appello: i fatti si sono verificati in prossimità di una strada asfaltata, di pubblico transito, allorquando l’allora ragazzina, dopo aver attraversato quella strada, si trovava all’interno di uno spazio tra la via ed il dirupo, spazio qualificabile come banchina e quei luoghi erano pienamente visibili e probabilmente conosciuti dalla persona danneggiata, nonché notoriamente pericolosi.
Respinto il riferimento difensivo ad un presunto dubbio sulla capacità naturale della minore al momento del fatto e alla presunta mancata conoscenza, da parte sua, della pericolosità dei luoghi prossimi alla relativa abitazione.
A questo proposito, i magistrati di Cassazione osservano che in Appello si è raggiunta la conclusione che la persona danneggiata disponesse, illo tempore, di un’adeguata capacità di intendere e di volere, desumendo tale importante dettaglio dalla circostanza secondo cui ella giocava all’esterno della casa con il fratello ed era stata sentita, dopo l’incidente, dichiarando cosa era accaduto.
In generale, comunque, vale il principio, precisano i magistrati di Cassazione, secondo cui allorquando la vittima di un fatto illecito abbia concorso, con la propria condotta, alla produzione del danno, l’obbligo del responsabile di risarcirlo si riduce proporzionalmente, anche nel caso in cui la vittima fosse incapace di intendere e di volere, in quanto l’espressione ‘fatto colposo’ non va intesa come riferentesi all’elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive o dettata dalla comune prudenza.
Ragionando in questa ottica, cioè quella della verifica dell’incidenza causale della condotta della minore, in stato di capacità naturale o meno, nella verificazione dell’evento dannoso, e facendo riferimento al caso specifico, riconducibile alla ipotesi di danno cagionato dalla condotta omissiva colposa del custode della strada – il Comune – nel predisporre le cautele necessarie affinché si evitasse la situazione di pericolo rappresentata dal precipizio sito ad una distanza di cinque metri dalla stessa sede stradale, sottolineano che quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere oggettivamente prevista e superata attraverso l’adozione, da parte dello stesso danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze (secondo uno standard di comportamento correlato, dunque, al caso concreto), tanto più rilevante deve considerarsi l’efficienza causale del suo comportamento imprudente (in quanto oggettivamente deviato rispetto alla regola di condotta doverosa cui conformarsi) nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando il comportamento accertato sia, benché astrattamente prevedibile, da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.
Ciò posto, un ruolo decisivo deve ritenersi aver piuttosto assunto l’avere, la ragazzina, inseguito un pallone fino a una zona pericolosa, ovvero in una strada di scorrimento dei veicoli prossima ad un dirupo, in pieno giorno (ore 16,30 del mese di aprile), con piena visibilità dei luoghi, conosciuti, con ogni probabilità, dalla vittima poiché prossimi alla casa familiare, per poi spingersi oltre il margine della strada stessa, fino a cadere dentro il dirupo, probabilmente per la furia della corsa.
Anche secondo i magistrati di Cassazione, quindi, ci si trova di fronte ad una condotta che è ex se altamente imprudente e rischiosa, da cui discende come causalità diretta ed esclusiva la caduta nel dirupo e le conseguenti lesioni riportate dalla vittima, senza che possa avere rilievo la eventuale colpa del Comune per non avere adottato protezioni a lato della strada.

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