Possibile risarcimento per la violazione del preliminare di preliminare
Legittimo parlare di condotta contraria a buonafede. Fondamentale che si tratti dell’inadempimento di un preliminare già completo degli elementi essenziali per la stipula del definitivo

La violazione dell’accordo qualificabile come preliminare di preliminare può dar luogo, in quanto contraria a buonafede, a responsabilità di natura contrattuale per la mancata conclusione del contratto, con possibilità di risarcimento dell’interesse positivo, comprensivo del mancato guadagno e delle perdite subite, qualora si tratti dell’inadempimento di un preliminare già completo degli elementi essenziali per la stipula del definitivo, anche quando sia prevista la stipula di un secondo preliminare per la definizione di ulteriori elementi del programma negoziale. Questo il principio applicato dai giudici (sentenza numero 24418 dell’11 settembre 2024 della Cassazione), chiamati a prendere in esame un complesso contenzioso relativo alla cessione di un fabbricato. Tutto ha origine alla fine degli anni ’90 quando i due proprietari promettono, con scrittura privata, di vendere un vecchio fabbricato a una società, ad un prezzo di poco superiore agli 800milioni di lire, che la società impegna a pagare mediante permuta di circa 700 metri quadrati di superficie da edificare in luogo prospiciente. Poiché, però, il valore della superficie da edificare (oltre 1.200.000 euro) è superiore a quello del vecchio fabbricato, i promittenti venditori si impegnano a versare la differenza di valore in denaro nei modi e nei tempi stabiliti da un preliminare di compravendita, da stipulare dopo l’approvazione del piano attuativo da parte del Comune. E, viene aggiunto, qualora il piano attuativo comporti modifiche alle volumetrie realizzabili in eccesso o in difetto, le somme o le superfici in permuta saranno oggetto di ulteriore trattativa. Prima dell’approvazione del piano (avvenuta nell’ottobre del 2005), le parti cessano le trattative e i due privati vendono l’immobile ad un terzo. A fronte di questo stato di fatto, la società promissaria acquirente chiede la condanna dei promittenti venditori per la risoluzione per inadempimento della promessa di vendita e puntano anche ad un risarcimento, quantificato in circa 400mila euro per mancato guadagno e in quasi 30mila euro per l’incremento del valore del bene oggetto dal giorno dell’inadempimento fino al pronunciamento giudiziario. Alla luce del contenuto saliente della scrittura privata sottoscritta dalle parti, paiono legittime, almeno sulla carta, le rimostranze della società. Ciò alla luce di una prospettiva precisa, applicabile alla vicenda in esame: la violazione dell’accordo, in quanto contraria a buonafede, può dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale. Di conseguenza, è ipotizzabile una responsabilità che, a seconda dell’atteggiarsi dell’accordo nel caso concreto, può coprire il risarcimento dell’interesse positivo e può spingersi anche a risarcire il mancato guadagno e le perdite subite per la fallita conclusione del contratto definitivo, ove si tratti dell’inadempimento di un preliminare che sia già completo di tutti gli elementi essenziali per la stipula del definitivo, quand’anche il primo disponga per la stipula di un secondo preliminare (prodromico al definitivo) per la definizione di ulteriori elementi del programma negoziale.