Stop all’uso improprio della parola ‘terme’ per i centri benessere

Indispensabile, chiariscono i giudici, la presenza effettiva di acque termali

Stop all’uso improprio della parola ‘terme’ per i centri benessere

Catalogabile come pratica commerciale scorretta l’uso improprio della parola ‘terme’ nella denominazione sociale di ‘centri benessere’ privi di acque termali Questa la netta presa di posizione assunta dai giudici (sentenza numero 3410 del 17 febbraio 2025 del Tar Lazio), i quali, per maggiore chiarezza, catalogano come  pratiche commerciali scorrette l’uso della parola ‘terme” e ‘spa (salus per aquam)’ nella denominazione sociale di strutture (nella specie, ‘centri benessere’) prive di acqua termale, così come l’espediente di congiungere la parola ‘terme’ alla indicazione di zone notorie per la presenza di acque termali. In sostanza, tali condotte risultano idonee ad ingenerare nel consumatore il convincimento che il centro sia di natura termale e utilizzi acque termali in senso proprio laddove, viceversa, i termini ‘terme’, ‘termale’, ‘acqua termale’, ‘fango termale’, ‘idrotermale’, ‘idrominerale’, ‘thermae’, ‘spa (salus per aquam)’ sono utilizzati esclusivamente con riferimento alle fattispecie aventi riconosciuta efficacia terapeutica per la tutela globale della salute. Come ulteriore precisazione, poi, viene ricordato che le cure termali sono erogate negli stabilimenti delle aziende termali che: risultano in regola con l'atto di concessione mineraria o di subconcessione o con altro titolo giuridicamente valido per lo sfruttamento delle acque minerali utilizzate; utilizzano, per finalità terapeutiche, acque minerali e termali, nonché fanghi, sia naturali sia artificialmente preparati, muffe e simili, vapori e nebulizzazioni, stufe naturali e artificiali, con proprietà terapeutiche riconosciute; sono in possesso dell'autorizzazione regionale; rispondono ai requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi definiti dalla normativa.

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