: Interdittiva antimafia: la pubblica amministrazione è tenuta a procedere al recesso del contratto
Impossibile, difatti, sindacare le valutazioni compiute a monte dalla Prefettura

A fronte di un’interdittiva che accerti il pericolo di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata (valutazione compiuta dal Prefetto, a monte, in ordine ad un requisito fondamentale richiesto dall’ordinamento per la partecipazione alle gare), non residua in capo all’ente committente (a valle) alcuna possibilità di sindacato nel merito dei presupposti che hanno indotto il Prefetto alla sua adozione, atteso che si tratta di provvedimento volto alla cura degli interessi di rilievo pubblico, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva all’autorità di pubblica sicurezza e non può essere messo in discussione da parte dei soggetti che alla misura di interdittiva devono prestare osservanza. Di conseguenza, a fronte di un’interdittiva persistentemente efficace, quand’anche sub iudice, l’amministrazione è tenuta a procedere con assoluta immediatezza al recesso (o risoluzione) del contratto (o convenzione) in corso di esecuzione in modo totalmente vincolato e in modo definitivo, anche rispetto alle successive vicende giurisdizionali dell’interdittiva prefettizia e alle ragioni di contestazioni di essa, salvo il caso che, alla data in cui l’amministrazione si trovi a dover pronunciare sulle sorti del contratto, l’interdittiva sia già stata sospesa (con decreto o con ordinanza cautelare del giudice competente) o annullata (pur se con sentenza di primo grado non sospesa); restano ovviamente salvi gli eventuali profili risarcitori nei confronti unicamente dell’organo statale che ebbe a emanare l’interdittiva. Questi i principi fissati dai giudici (sentenza numero 478 del 4 febbraio 2025 del Tar Sicilia), i quali precisano poi che la validità del recesso deve essere apprezzata dal giudice, in forza del principio del tempus regit actum, con riferimento alla data della sua adozione, rimanendo ininfluenti sulle sue sorti gli atti sopravvenuti e le successive vicende giurisdizionali dell’interdittiva prefettizia. Per quanto concerne il recesso, esso è espressione di un diritto potestativo che l’amministrazione può esercitare per motivi di interesse pubblico, spettando in tal caso al concessionario, tra l’altro, un indennizzo a titolo di mancato guadagno, i cui criteri di quantificazione devono essere esplicitati in maniera inequivocabile nell’ambito del bando di gara e indicati nel contratto, con la previsione altresì di un vincolo di destinazione per il suo utilizzo. La sua disciplina non è estensibile al recesso dalla concessione di costruzione e gestione per interdittiva, in quanto tale recesso, al di là del nomen iuris, è espressione di un potere pubblicistico diretto a evitare il mantenimento del rapporto contrattuale con l’operatore economico nei cui confronti siano emersi sospetti di collegamenti con la criminalità organizzata e per esso restano ferme le specifiche previsioni di settore (che fanno salvi: il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite); il recesso, in tal caso, non è addebitabile a scelte discrezionali dell’ente committente, il quale è vincolato alla doverosa e necessitata risoluzione (recesso) e non può ragionevolmente subirne anche le conseguenze nei termini economici del mancato guadagno. L’interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità giuridica ex lege: parziale, in quanto limitata ai rapporti giuridici con la pubblica amministrazione; temporanea del suo destinatario ad assumere, o a mantenere, la titolarità di diritti soggettivi e interessi giuridici con la pubblica amministrazione, potendo essa venire meno per il tramite di un successivo provvedimento dell’autorità amministrativa competente. Il recesso della stazione appaltante per sopravvenuta informativa antimafia è un atto estraneo alla sfera di diritto privato, che esprime uno speciale potere pubblicistico che spetta alla stazione appaltante anche nella fase esecutiva del contratto, finalizzato a scongiurare il rischio di intrattenere rapporti contrattuali con imprese legate alla criminalità organizzata: prevale l’interesse pubblicistico e non trovano applicazione le regole del diritto privato, sicché la giurisdizione a conoscere delle relative controversie appartiene al giudice amministrativo.