Accesso possibile per l’impresa in liquidazione volontaria e per l’impresa che presenti un piano liquidatorio per la risoluzione della crisi

Lo stato di liquidazione dell’impresa protratto da tempo e l’esiguità del valore dei beni da liquidare e dell’attivo disponibile rispetto al debito complessivo dell’impresa possono rappresentare elementi da considerare per valutare se il ricorso alla composizione negoziata della crisi, accompagnato alla richiesta di misure protettive, sia effettivamente da considerarsi abusivo ovvero meramente dilatorio.

Accesso possibile per l’impresa in liquidazione volontaria e per l’impresa che presenti un piano liquidatorio per la risoluzione della crisi

Possibile consentire l’accesso allo strumento della composizione negoziata della crisi sia all'impresa in stato di liquidazione volontaria che all’impresa che, seppur non in liquidazione, predisponga e presenti un piano liquidatorio finalizzato alla risoluzione della crisi. Ciò perché, precisano i giudici (sentenza del 15 luglio 2024 del Tribunale di Perugia), l’espressione “ragionevole perseguibilità del risanamento dell'impresa”, presente prima nel decreto legge 118 del 2021, contenente misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, e poi nel ‘Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza’, deve, a seconda dei casi e, in particolare, della gravità della crisi, ritenersi comprensiva tanto del risanamento dell'impresa tramite una prosecuzione (totale o parziale) dell’attività in continuità diretta o indiretta, quanto del risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa stessa tramite la soddisfazione dei creditori anche con i proventi della liquidazione dell'attività. Per fare ancora più chiarezza, poi, i giudici aggiungono che se il valore dei beni da liquidare, insieme ad eventuali altri attivi disponibili, accompagnato da uno stralcio, consente di predisporre un piano potenzialmente accettabile da parte dei creditori (o comunque che possa apparire come ragionevole punto di partenza di una trattativa), non può esservi motivo di impedire lo svolgimento della trattativa (e quindi di negare la conferma delle misure protettive). E tale deve essere certamente un piano che sia auspicabilmente migliorativo per tempi e valore rispetto ad una liquidazione giudiziale, ipotesi assai frequente, tenuto conto anche della durata limitata delle trattative della composizione negoziata della crisi e delle lungaggini, inefficienze e incertezze dalla liquidazione giudiziale. Allo stesso tempo, però, lo stato di liquidazione dell’impresa protratto da tempo e l’esiguità del valore dei beni da liquidare e dell’attivo disponibile rispetto al debito complessivo dell’impresa possono rappresentare elementi che, insieme ad altre circostanze, è necessario considerare per valutare se il ricorso alla composizione negoziata della crisi, accompagnato alla richiesta di misure protettive, da parte dell’impresa sia effettivamente da considerarsi abusivo ovvero meramente dilatorio.

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