Va ricompensato il minor impegno lavorativo della moglie che ha così lasciato più spazio alla crescita professionale del marito
Nel caso specifico, la donna ha spiegato di aver sacrificato le proprie potenzialità lavorative, rispetto ad un’eventuale carriera in ambito scolastico, avendo continuato a fare la maestra, attività che le ha consentito di poter provvedere alla figlia, nonché di aver negli anni contribuito al patrimonio della famiglia realizzato unitamente al marito, il quale è, invece, divenuto un affermato professionista

Assegno divorzile all’ex moglie che durante la vita matrimoniale ha optato per un minor impegno lavorativo per potere dedicarsi alla cura della figlia e della famiglia ma così facendo ha sacrificato i propri spazi di libertà, lasciando, per contro, all’allora marito più tempo per la crescita della propria immagine personale e professionale con annesso ottenimento, nel tempo, di ingenti guadagni.
Questa la visione tracciata dai magistrati di Cassazione (ordinanza 21797 del 2 agosto 2024), i quali hanno chiarito che, in presenza di un significativo divario tra le condizioni economico-patrimoniali delle parti, è giustificata l’attribuzione dell’assegno divorzile con funzione perequativa. Anche perché tale componente, a differenza di quella compensativa, non postula, invero, la allegazione di una specifica rinuncia a possibilità concrete di carriera, peraltro in presenza di una autosufficienza economica del coniuge richiedente l’assegno. Il criterio perequativo risponde, difatti, a criteri di giustizia distributiva applicabili anche in sede di crisi coniugale, essendo volto a compensare il sacrificio della piena estrinsecazione della propria personalità da parte di uno dei coniugi, che si dedichi in prevalenza alla famiglia rispetto all’altro, essendo indubitabile che le manifestazioni della persona non si riducono alla sola attitudine a produrre reddito. Esse, difatti, ricomprendono, oltre alle attività collaterali all’attività lavorativa (convegni, attività formativa, attività di dopo-lavoro), tutta la ampia gamma delle possibili esplicazioni, anche spirituali, della persona umana, che non è solo produttrice di reddito (svago, tempo libero, amicizie, sport, arte, ed altro).
Ne consegue che il criterio perequativo, quale criterio di giustizia distributiva endo-familiare, si fonda sui valori costituzionali del rispetto della persona e dell’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi. Nel caso specifico, preso in esame dai giudici, si è appurato che la donna – insegnante di ruolo e titolare di un reddito netto annuo da lavoro di circa 20mila e 500 euro – ha fondato la propria richiesta, volta ad ottenere il riconoscimento dell’assegno divorzile, sulla asserita situazione di quasi indigenza in conseguenza degli oneri correlati al mutuo contratto in costanza di matrimonio per l’acquisto della casa coniugale e, quindi, sulla sua mancanza di indipendenza o autosufficienza economica a fronte del forte divario reddituale tra i coniugi. Ella ha dedotto, inoltre, di aver sacrificato le sue potenzialità lavorative, rispetto ad un’eventuale carriera in ambito scolastico, avendo continuato a fare la maestra, attività che le ha consentito di poter provvedere alla figlia, nonché di aver negli anni contribuito al patrimonio della famiglia realizzato unitamente al marito, il quale è, invece, divenuto un affermato professionista e svolge attività libero-professionale presso più ambulatori e cliniche private ed è titolare di un reddito complessivo lordo annuo, risultante dalle dichiarazioni fiscali, di oltre 100mila euro.